Per una riforma del ticket sul licenziamento (NASPI). Una ricerca promossa da ANIP e Fondazione EYU

ANIP – Confindustria ha avviato, da questo mese, una campagna di attenzione e informazione intorno al tema della “tassa sul licenziamento”, il cosiddetto ticket – Naspi (ASSICURAZIONE SOCIALE PER L’IMPIEGO) nel corso della quale saranno diffusi e valorizzati i risultati di un importante studio attivato nei mesi scorsi attraverso la partnership con la Fondazione EYU su questo tema specifico nel mondo del lavoro.

Delineare gli scenari che potrebbero aprirsi a livello economico e sociale qualora sia effettiva la “tassa sul licenziamento” introdotta dalla legge 92 del 2012 (Fornero – Monti), capire quale impatto avrebbe, non solo in termini economici, l’applicazione del molto discusso art.34 della legge, su quella miriade di aziende del settore dei servizi e delle costruzioni, soggette più delle altre al fenomeno del cambio appalto, rappresenta oggi un efficace strumento di sensibilizzazione delle forze sociali, politiche e istituzionali a supporto delle numerose attività avviate da ANIP – Confindustria, insieme ad altre associazioni di categoria, per la riforma della norma.

A tal fine, ANIP – Confindustria e la Fondazione EYU presentano in anteprima i risultati dello studio “per una riforma del ticket sul licenziamento”, realizzata dal Prof. Roberto Leombruni dell’Università di Torino, dipartimento di Economia Statistica, nel seminario di lavoro, a porte chiuse, che si terrà il prossimo 20 Novembre presso la sala della Giunta della Camera di Commercio di Roma, a cui sono invitati a partecipare oltre ad ANIP, altri rappresentanti del settore dei servizi integrati e dei principali membri delle commissioni Parlamentari di riferimento per il tema (lavoro, attività produttive e finanza).

Lo scopo della ricerca commissionata alla fondazione EYU è stato quello, innanzitutto, di argomentare come l’esenzione appena prorogata non configuri uno “sconto” concesso per un contributo altrimenti appropriato, ma sia l’applicazione coerente dei principi ispiratori della legge. È chiaro infatti che sia nello spirito di chi ha ispirato la legge, che nella ratio stessa della norma, il ticket trova giustificazione solo quando il licenziamento porta a un effettivo rischio di disoccupazione, dal quale derivano i costi sociali e le esigenze di supporto.

Il caso dei licenziamenti legati ai cambi di appalto, quando è presente – come nel caso del CCNL Multiservizi – una clausola sociale che impegni il nuovo appaltatore ad assumere il personale precedentemente già adibito al servizio, è un esempio notevole in cui un rischio di disoccupazione di fatto non si crea, né tantomeno vengono distrutti posti di lavoro con un impatto negativo sull’occupazione.
L’incoerenza del ticket in queste situazioni, peraltro, era certamente presente al legislatore quando ha previsto l’esenzione del comma 34 – e la stessa ratio è stata poi espressa esplicitamente dal Ministero del Lavoro con l’Interpello n. 12/2015 – dove si rileva che il principio della esenzione dal ticket “vale ad esonerare i datori di lavoro dal pagamento del contributo addizionale […] per l’estinzione dei rapporti di lavoro cui non consegue uno stato di disoccupazione in ragione della contestuale riassunzione del personale da parte dell’impresa subentrante”.
Scopo ulteriore della ricerca è quello di delineare i motivi per i quali, oltre a non essere coerente con i principi stessi della riforma, l’applicazione del ticket anche ai cambi di appalto avrebbe effetti distorsivi o peggio di incentivo all’elusione della normativa. Questi effetti riguardano innanzitutto alcune preoccupazioni già espresse nel dibattito:

  • Molte imprese, a fronte di una tassa percepita come ingiusta, potrebbero ricorrere a soluzioni di tipo contrattuale per evitare formalmente il cambio di appalto, o arrivare a richiedere le dimissioni del personale a fine appalto. Questo andrebbe a discapito delle garanzie dei lavoratori che la legge vorrebbe tutelare, minando l’efficacia del meccanismo virtuoso acquisito con la clausola sociale;
  • Le imprese multiservizi sono grandi utilizzatrici di lavoro part-time, che verrebbe di fatto disincentivato – di nuovo, andando contro una tendenza virtuosa in particolare per la partecipazione al lavoro delle donne. La circolare n. 44/2013 l’Inps infatti precisa che non vi è alcun riproporzionamento in caso di lavoro part-time, per cui a fine appalto una lavoratrice che abbia lavorato solo 10 ore alla settimana genera un costo per l’azienda pari a quello di un lavoratore full time.
    In prima approssimazione, si possono elencare almeno due ulteriori criticità:
  • L’azienda titolare dell’appalto, in occasione della nuova gara di aggiudicazione, si trova in una situazione competitiva diversa rispetto alle altre partecipanti alla gara, in quanto in caso di non aggiudicazione si troverebbe a fronteggiare il pagamento del ticket per i propri dipendenti in uscita. Questo può portare ad effetti distorsivi, con una tendenza al ribasso da parte dell’impresa già titolare non giustificata da considerazioni di efficienza economica.
  • Poiché il contributo è fisso, va a incidere in particolare sulla convenienza all’utilizzo di dipendenti di più bassa qualifica. Per questi l’aggravio sul costo orario – soprattutto in caso di utilizzi part-time – può essere sensibile, e porterebbe l’azienda a valutare l’utilizzo di altre forme di lavoro, ad esempio portando la quota di lavoratori in somministrazione sino ai massimi previsti da norme e contratti (quota che nel caso del CCNL Multiservizi è del 12% dei contratti a tempo indeterminato in atto nell’appalto, ampiamente al di sopra dell’utilizzo medio della somministrazione in Italia). Portando quindi all’effetto perverso di ridurre le tutele proprio per i lavoratori meno qualificati.

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